Manifesto for a New City Making
Idee, ispirazioni e concetti chiave per un nuovo approccio al “fare città”dagli esperti internazionali protagonisti di Utopian Hours.
Le città non sono soltanto agglomerati di edifici, strade, parchi e piazze. Sono ecosistemi complessi e vivi, strumenti urbani stratificati che modellano la nostra esperienza del mondo. Sono il luogo in cui si accumulano tensioni, sogni, contraddizioni. Sono, nel bene e nel male, la forma visibile della nostra civiltà.
Le città rappresenteranno sempre di più il punto di convergenza delle sfide globali: la crisi climatica, la solitudine diffusa, la disuguaglianza spaziale, l’emergenza abitativa, l’accessibilità, l’identità, la coesione sociale. Proprio per questo crediamo siano gli spazi in cui possiamo cominciare a costruire le risposte. Entro pochi decenni, oltre due persone su tre abiteranno un contesto urbano. Questo dato, spesso ripetuto, è più di una statistica: è una soglia simbolica. Vivere in città diventerà la norma, non l’eccezione. Ma qual è la città che abbiamo in mente? E, soprattutto, per chi?
Dietro i numeri si nascondono domande profonde. Come possiamo ripensare il modo in cui le città vengono immaginate, progettate, gestite, narrate? Come possiamo agire sulle trame invisibili che regolano i rapporti tra le persone, tra i corpi e gli spazi, tra le storie e le infrastrutture? È urgente, e necessario, immaginare nuovi approcci. Occorre farlo insieme.
È da questa urgenza che nasce Utopian Hours. Non solo un festival, ma una piattaforma permanente, un laboratorio aperto sul futuro delle città. Dal 2017, il festival accoglie a Torino urbanisti, architetti, attivisti, imprenditori, designer, artisti, policy maker e pensatori da tutto il mondo. È un’occasione per confrontarsi su casi concreti, condividere strumenti, esplorare nuove visioni. Ma Utopian Hours è anche ciò che accade tra un’edizione e l’altra: una comunità che si riconosce e si espande, un dialogo in corso, una cultura urbana che prende forma giorno dopo giorno.
In questo contesto nasce il Manifesto for a New City Making. Un manifesto non ideologico, non lineare, non definitivo. Un documento in divenire, costruito come un abbecedario collettivo. Oltre cinquanta ospiti delle ultime edizioni del festival hanno contribuito con una parola, un concetto, un’intuizione per descrivere la città del futuro.
Agency, Taking Care, Empathy, Regenerative Placemaking, Urban Pedagogy, Climate Comfort, Soulful, Polyspaces, Fabulous, Undensity, Swimmable, Yes. Le parole emerse non sono slogan, ma lenti con cui osservare la complessità urbana da angolature insolite. Sono tracce, visioni, segni sparsi di un’altra idea di città. Ogni voce ha portato con sé la propria lingua, il proprio contesto, il proprio metodo. Il risultato è un lessico comune che non uniforma, ma connette.
Questo Manifesto non offre una formula, né una mappa. Piuttosto, una costellazione. Un insieme di punti tra cui muoversi liberamente, trovando combinazioni nuove, letture alternative, percorsi inattesi. E uno strumento per orientarsi in un epoca in cui le certezze urbane si sgretolano, ma le opportunità si moltiplicano.
Nel costruirlo abbiamo rifiutato l’univocità. Perché la città è molteplice, polifonica, stratificata. E perché ogni tentativo di ridurla a una visione unica rischia di perdere ciò che di più prezioso essa possiede: la sua capacità di contenere le differenze, di essere allo stesso tempo scenario e agente del cambiamento.
Il Manifesto for a New City Making è un racconto corale che si rivolge a chi lavora con le città, ma anche a chi le vive, le attraversa, le abita, le subisce, le immagina. È una chiamata all’azione, ma anche all’ascolto. Un invito a prendersi cura degli spazi, ma anche dei legami, delle storie, delle possibilità.
Crediamo che fare cultura urbana significhi questo: attivare processi, generare contenuti, stimolare connessioni, creare linguaggi. Mettere in circolo idee capaci di trasformarsi in strumenti. Coltivare alleanze tra discipline, territori, generazioni. Dare nome a ciò che ancora non ha forma.
Ogni parola dell’abbecedario è un frammento di una città possibile. Una città che non esiste ancora, o che si nasconde tra le pieghe del presente. Una città che possiamo cominciare a costruire semplicemente pronunciandola, nominandola, condividendola ma, prima di tutto, immaginandocela. Una città in cui l’empatia può diventare progetto, l’inclusione un’infrastruttura — e l’intelligenza collettiva può generare impatto reale.
Non abbiamo la pretesa di dire l’ultima parola. Vogliamo dirne molte. O meglio: vogliamo moltiplicarle. Cinquantacinque parole — e molte altre ne verranno— per aprire una conversazione, per spostare il dibattito, per costruire insieme nuove grammatiche del fare città.
Perché ogni città è una promessa. E ogni promessa urbana, oggi più che mai, ha bisogno di visione, responsabilità, coraggio e anima.
ADAPT
Kotchakorn Voraakhom (Landprocess)
(Adattarsi o morire!) Può sembrare una scelta, ma per le città in prima linea nella sfida alla crisi climatica è un imperativo urgente. L’unica via percorribile è collaborare con la natura, sfruttando le sue forze dinamiche invece di opporvisi. Per prosperare nel cambiamento, dobbiamo integrare flessibilità, resilienza e adattabilità non solo nei sistemi urbani e nei progetti, ma anche nella mentalità di ogni cittadino.
L’incertezza non è più l’eccezione: è la regola. Ed è questa realtà che deve guidare il nostro approccio fondamentale alla progettazione e all’azione.
ADAPTATION
Kunlé Adeyemi (NLÉ)
Le città di domani devono essere agili— plasmate dai ritmi dell’acqua, del clima e dei bisogni umani. La vera resilienza risiede nella capacità di una città di trasformarsi– fisicamente, socialmente ed ecologicamente restando però profondamente connessa alle persone e al luogo.
L’adattamento non deve essere inteso semplicemente come una strategia: è un modo per plasmare il nostro nuovo modo di vivere, costruire e favorire la convivenza tra l’umanità e l’ambiente.
AFFORDABILITY
Sam Rosenzweig (Communa)
La casa deve essere estranea alle logiche di mercato e alla speculazione. L’abitare è un diritto che le politiche pubbliche devono tutelare, affinché i cittadini non vengano espropriati delle proprie città. Attraverso strumenti giuridici, fiscali e finanziari, le autorità pubbliche possono regolare lo sviluppo di alloggi accessibili nel lungo periodo, collaborando fianco a fianco con il settore dell’economia sociale.
Questo significa sostenere modelli cooperativi e valorizzare il patrimonio abitativo esistente. Le città devono diventare protagoniste attive di una nuova cultura dell’abitare, inclusiva e non estrattiva. Solo così l’accesso alla casa potrà tornare a essere un bene comune, e non un privilegio.
AGENCY
Petra Marko (Meanwhile City)
Il potenziale di una città va oltre ciò che può essere pianificato o predeterminato. Una città è veramente accogliente quando offre ai cittadini spazi liberi da vivere, occupare e modellare secondo le proprie necessità. Queste città danno alle persone il potere di fare o, per dirla con David Harvey, il diritto di “cambiare noi stessi cambiando la città seguendo di più i nostri desideri” (The Right to the City).
A Vienna, i residenti hanno realizzato più di cinquecento micro aree verdi grazie a un programma guidato dalla Città. A Rotterdam, una campagna di crowdfunding per un ponte pedonale ha ottenuto il supporto di oltre diecimila persone, creando un collegamento tra diversi quartieri. A Bratislava, attraverso l’iniziativa del “pedibus”, molti più bambini ora possono andare a scuola a piedi. Azioni partecipative come queste sono fondamentali per costruire comunità resilienti e unite.
ANALOGUE
Mikael Colville-Andersen (DIY Kyiv)
Che tempi per essere vivi. Una pandemia è stata rimpiazzata da una brutale invasione dell’Ucraina, e le nubi del cambiamento climatico continuano ad addensarsi. In Danimarca diciamo: “niente è così brutto da non essere buono per qualcosa”. Ecco cosa ho imparato studiando l’urbanistica in questi tempi di crisi.
Le soluzioni analogiche, il pensiero razionale e il coinvolgimento dei cittadini sono la risposta vincente. L’ho visto nelle città durante la pandemia. Lo vedo ogni giorno in Ucraina, dove da tre anni metto a disposizione le mie competenze come volontario per aiutare i cittadini urbani. Lo vedo nelle migliori soluzioni per mitigare la crisi climatica. Chi glielo dice, ora, ai tech bros, agli ossessionati dalle Smart City e agli architetti di grido con i loro progetti vanagloriosi?
ATTUNEMENT
Amanda Burden (Bloomberg Associates)
Una città modellata dalla sintonia non è solo costruita, ma vissuta – un luogo in cui urbanisti, designer e amministratori agiscono coerentemente sul modo in cui l’ambiente fisico viene vissuto e percepito. È una città in cui ogni elemento, da una panchina a un nodo di trasporto, è pensato attraverso la lente della presenza umana e della risonanza emotiva.
Le città in sintonia favoriscono la coesione sociale e il benessere. Creano spazi in cui le persone si sentono riconosciute e supportate, dove la diversità non è soltanto accolta, ma valorizzata. Sono luoghi in cui il design incoraggia l’interazione, la fiducia e un senso condiviso di scopo tra i residenti.
BIG/SMALL
Raoul Grünstein (Nordic Urban)
Le città sono i luoghi più audaci in continua evoluzione, dove le idee più grandi per la nostra specie e per il pianeta prendono vita. Ma devono anche offrire le esperienze più piccole, a misura d’uomo, attraverso le quali ognuno di noi possa trovare dignità e speranza.
Questo doppio ruolo è una necessità per mantenere le città luoghi visionari e vivibili. Sono il punto in cui le politiche incontrano i marciapiedi, dove l’innovazione deve procedere tenendo conto passeggini o sedie a rotelle. Nella loro capacità di tenere insieme il macro e il micro, il futuro e il presente, risiede la loro promessa più profonda.
BIODIVERSITY
Michael Grove (Sasaki)
La biodiversità è fondamentale per il futuro della progettazione urbana, poiché fornisce le basi ecologiche per un’aria più pulita, temperature più fresche e una maggiore resilienza climatica. Eppure, la biodiversità è in crisi: le specie si stanno estinguendo a un ritmo da 10 a 100 volte superiore rispetto al tasso naturale, con quasi un milione di specie a rischio a livello globale.
Con l’espansione delle città — che si prevede ospiteranno il 68% della popolazione mondiale entro il 2050— la pianificazione urbana deve invertire la tendenza alla distruzione degli habitat, integrando la natura nelle infrastrutture, ripristinando gli ecosistemi e progettando spazi pubblici che supportino la vita umana e non umana.
TAKING CARE
Jude Barber (Collective Architecture)
Il “fare città” può essere un atto collettivo. Come? Bilanciando idealismo e pragmatismo per il bene delle persone, dei luoghi, del pianeta. Ma anche lavorando insieme, attraverso uno sforzo comune per trovare metodi inclusivi e a più livelli per dare forma alle città.
Dobbiamo immaginare ambienti urbani che si evolvono tenendo conto delle esigenze e dei desideri di chi li vive. Possiamo prenderci il tempo per valorizzare il potenziale degli edifici e dei paesaggi urbani esistenti. Attraverso i nostri progetti possiamo garantire equità e inclusività, affinché i cittadini possano essere agenti attivi di un futuro condiviso.
CHANGE
Giulia Frittoli (BIG / Bjarke Ingels Group)
È cruciale ripensare gli spazi urbani come catalizzatori di trasformazioni positive. Serve un cambio di paradigma radicale, un approccio nuovo capace di agire tanto sulle infrastrutture quanto sulle policy e sul nostro modo di “fare città” Non possiamo riporre tutte le nostre aspettative solo sui progetti architettonici — le politiche urbane devono evolvere di pari passo.
La progettazione urbana deve mettere al primo posto il coinvolgimento dei cittadini, permettendo alle comunità di modellare le proprie città e garantendo un’equa redistribuzione di risorse e opportunità. Il futuro dell’urban design dipende dalla nostra capacità di abbracciare il cambiamento in tutte le sue forme: dall’adattamento al cambiamento climatico all’evoluzione culturale, fino a una profonda innovazione nelle politiche. Le nostre città devono diventare i motori di una trasformazione positiva.
CHANGEMAKERS
Baharash Bagherian (The Loop)
L’urbanizzazione sta evolvendo e alla guida di questo processo di innovazione ci sono quelli che chiamiamo “changemakers”. Questi pionieri incarnano uno spirito imprenditoriale vivace e visionario, trasformando le città in “living lab” guidati dall’innovazione. Sfidano lo status quo, rompono le convenzioni e accolgono i rischi come opportunità di crescita.
Questo approccio dinamico sta trasformando le città in comunità urbane vivaci, dove l’innovazione sociale, economica e ambientale convergono. I changemakers non si limitano a ridisegnare gli spazi: sono in prima linea nel creare un futuro dalle infinite possibilità.
CLIMATE COMFORT
Zala Velkavrh (Prostorož)
Garantire il benessere climatico sarà cruciale per permettere alle comunità urbane di sopravvivere e prosperare in un pianeta sempre più caldo. Lo spazio pubblico dovrà essere fruibile anche nelle stagioni con le temperature più alte, e senza ricorrere all’aria condizionata e alla climatizzazione. Servono soluzioni alternative.
Dobbiamo immaginare spazi confortevoli e a basso impatto ambientale, spazi capaci di accogliere bambini, persone con malattie croniche, anziani, ma anche i lavoratori essenziali che mantengono operative le nostre città — dal settore delle costruzioni al personale medico, fino allo street food.
CO-CREATION
Sarah Castle (IF_DO)
Le città prosperano quando sono progettate con le persone, e non per le persone. La co-creazione promuove il senso di appartenenza, l’orgoglio e la responsabilità collettiva trasforma lo spazio urbano in un luogo in cui le comunità si sentono coinvolte. Quando le persone lavorano insieme per dare forma a un luogo, non solo migliorano l’area ma rafforzano i legami sociali.
Radicata nell’antica pratica del “commoning”, la collaborazione creativa è uno strumento per condividere le risorse in modo equo e sostenibile, per dare a tutti la possibilità di contribuire, per fare comunità e crescere. Così possiamo trasformare un quartiere senza cancellare la sua identita, creando città che appartengono a tutti.
COMMUNITY-DRIVEN
Scott Kratz (11th Street Bridge Park)
L’11th Street Bridge Park sarà il primo parco sopraelevato di Washington D.C. Sospeso sul fiume Anacostia, questo nuovo spazio pubblico unirà quartieri della città da tempo divisi. Grazie a oltre mille incontri pubblici, i residenti hanno contribuito alla programmazione del parco, alla selezione delle opere d’arte pubblica e persino alla scelta degli studi di architettura che hanno partecipato al concorso internazionale per il progetto.
Per creare un nuovo senso di appartenenza abbiamo restituito il potere decisionale ai cittadini, ormai sfiduciati da anni di promesse non mantenute. Per noi, la risposta è sempre la comunità- tutto ciò che dobbiamo fare è ascoltare.
CONNECTIVITY
Doug Gordon (The War on Cars)
Una città meno legata all’utilizzo dell’automobile, progettata invece intorno a percorsi pedonali, piste ciclabili, trasporti e spazi pubblici, aiuta i singoli cittadini a coltivare relazioni ricche di significato con lo spazio.
Un incontro casuale su un marciapiede, uno scambio con un amico in un parco: indipendentemente da dove o come nascano, queste relazioni sono indispensabili per la vita di una comunità. In un certo senso sono gli elementi costitutivi di ogni grande città.
CREATE PROXIMITY!
Roland Kager (Studio Bereikbaar)
Le città che creano prossimità riescono a sviluppare uno spazio pubblico di alta qualità, una maggiore vitalità economica e culturale, oltre che le condizioni perché la mobilità attiva e i sistemi di trasporto pubblico si impongano sulle auto — sono città che offrono agli abitanti un livello di benessere più elevato.
L’analisi dei dati dai Paesi Bassi suggerisce che raggiungere una soglia di popolazione tra i 96.000 e i 200.000 all’interno di un’area con un raggio di 2,3 km è cruciale per distinguere fra un livello basso, medio o alto nella qualità dell’ambiente urbano. Per questo, per realizzare una transizione urbana e nella mobilità, meglio iniziare dalla prossimità!
DATA-DRIVEN RESILIENCY
James Ehrlich (ReGen Villages)
La resilienza definisce una forma di sicurezza fondata sull’adattamento predittivo, offrendo accesso e capacità decisionale rispetto ai flussi delle risorse naturali, per permettere alle comunità di prosperare. Adottiamo un approccio basato sui dati per interpretare ciò che la terra ci comunica secondo una prospettiva di saggezza indigena, riuscendo così a comprendere la capacità della natura di sostenere l’abitazione umana all’interno di insediamenti autosufficienti.
Il nostro obiettivo è utilizzare software di machine learning insieme alla nostra piattaforma VillageOS™ per facilitare la progettazione e la successiva gestione di sviluppi residenziali al margine urbano, alleggerendo il carico sulle città, e al tempo stesso guardando alle aree periurbane e rurali per ridurre la migrazione climatica e affrontare le crisi dei rifugiati a livello globale.
DEDICATION
Sverre Landmark (Landmarks)
Dedizione e indifferenza plasmano le nostre città. Quando le aree sono soggette a sviluppo, dovremmo abbracciare coloro i quali, attraverso le dedizioni indifferenti, rendono la vita urbana rilevante. Attraverso il nostro uso della città, creiamo la storia della città, e in questo modo, siamo tutti sviluppatori urbani.
L’indifferenza nasce quando la memoria della dedizione svanisce. Per resistere a questa erosione, dobbiamo continuamente riconoscere il lavoro silenzioso di coloro che si prendono cura – residenti, custodi, attori informali – la cui attenzione al luogo genera significato al di là del valore di mercato.
DEMOCRATIC
Alastair Parvin (WikiHouse)
Il presupposto al cuore dell’urbanistica del XX secolo era che lo sviluppo fosse qualcosa fatto per le persone, non dalle persone. Nelle società industrializzate, si dava per scontato che l’unico modo per costruire case e quartieri su larga scala fosse affidarsi a organizzazioni centralizzate. Che fosse lo Stato o il mercato, il modello di base restava lo stesso: file di abitazioni standardizzate, in vendita o in affitto.
Nel XXI secolo, questo presupposto non regge più. Se vogliamo davvero creare case accessibili, comunità sane e resilienti, economie floride e città a zero emissioni, dobbiamo accogliere un semplice principio di buon senso: le persone migliori a cui affidare la proprietà, la gestione e la cura delle case nel lungo periodo sono proprio quelle che ci andranno a vivere. Non costruire per vendere, ma costruire per vivere. Si tratta di garantire a tutti i cittadini gli strumenti per far crescere, con le proprie mani, luoghi belli in cui vivere.
EGOMOBILITY
Stratosferica (Urban Knowledge & Agency)
Vogliamo una mobilità urbana al passo con i tempi, capace di adattarsi ai bisogni delle persone e in grado di cogliere le opportunità offerte dall’innovazione tecnologica. Dal monopattino, alla guida autonoma, passando per i treni ad alta velocità e un trasporto pubblico personalizzato, attento alle esigenze di ogni singolo cittadino. Non una mobilità egoista, quindi, ma coerente con la sostenibilità ambientale e sociale.
La sfida è capire quali tecnologie devono essere potenziate e implementate per raggiungere gli obiettivi legati al modo in cui ci muoviamo. Chiediamo alle città di avere la stessa capacità di allineamento e risposta al contemporaneo offerta da altri grandi settori, nei quali l’innovazione diventa possibile quando c’è un bisogno espresso e quando i rischi vengono gestiti, per esempio, dalla ricerca scientifica, dal potere economico e da quello politico.
EMPATHY
Caroline Bos (UNStudio)
Come trasformare gli spazi in racconti emozionanti, vicini ai desideri di chi li vive e capaci di favorire la crescita personale? Che siano spazi di lavoro vivaci o complessi ambienti interni, l’obiettivo del progetto è prima di tutto valorizzare l’esperienza umana.
I progettisti devono dare priorità all’impatto emotivo, enfatizzando il ruolo degli architetti come difensori del benessere, dando vita a ambienti che hanno un legame profondo con le persone. Nel passaggio verso questo nuovo paradigma il potenziale per ridurre il malcontento urbano e arricchire l’esperienza umana collettiva nelle città.
FABULOUS
Majora Carter (Reclaiming Your Community)
Rendi la tua comunità così viva e attiva da far sì che nessuno debba trasferirsi dal proprio quartiere per abitare in un contesto migliore. Valuta la vivibilità di un’area in base all’accessibilità ai parchi, ai trasporti pubblici, ai “terzi luoghi” e alle attività commerciali come bar, locali e ristoranti. Se uno di questi indicatori è al di sotto della soglia minima, crea incentivi finanziari per sollevarli e aiutarli a prosperare.
La salute pubblica, i successi educativi, la riduzione della criminalità e il benessere e la vivacità collegati a questi indicatori porteranno a una riduzione netta della spesa sociale del governo nel lungo periodo — e sarà fantastico!
FLEXIBILITY
Philipp Rode (LSE Cities)
In circostanze ordinarie, non agiremmo al ritmo richiesto dalle sfide che le nostre città stanno affrontando. Di fronte a uno scenario globale così complesso, i nostri sforzi sembrano però disallineati. Dobbiamo ripensare il nostro approccio, in particolare nel prendere decisioni: le comunità devono essere al primo posto, eppure le nostre città sono ancora principalmente costruite su modelli di pianificazione tradizionali.
Non basta essere leader: dobbiamo saper ascoltare e adattarci. In tempi di crisi, la rigidità può portare al fallimento. E per questo che gli strumenti di governance devono aggiornarsi in base ai rapidi cambiamenti che stanno subendo le nostre città. Dobbiamo ascoltare attivamente e rispondere. Le città, le loro comunità e i governi hanno bisogno di aggiornarsi continuamente per prendere decisioni consapevoli, soprattutto in situazioni di grande caos.
INSPIRE
Matt Grunbaum (Field Operations)
Le città devono ambire a creare spazi pubblici di qualità – spazi nuovi e contemporanei che si ispirano alla storia e alla cultura del luogo e ai bisogni delle comunità per ottenere quartieri amati, riconoscibili, autentici.
Uno spazio pubblico funziona se le persone sono naturalmente portate a viverlo e a interagire. I migliori luoghi condivisi si dimostrano catalizzatori: incoraggiano le altre città a migliorare lo spazio pubblico, spingendo i policy maker a investire per trasformare in modo positivo la propria città.
INTELLIGENS
Carlo Ratti (CRA Associati)
La città del futuro è progettata per rispondere e mitigare gli effetti delle sfide che dobbiamo affrontare. In primis, quella climatica.
Per questo dobbiamo pensare a una città in cui si integrino intelligenza naturale (saremo un giorno in grado di progettare un edificio che sia intelligente come un albero?), intelligenza artificiale (reti di connessioni e sensori collegano le nostre metropoli e tutto il pianeta: una tecnologia che può essere utilizzata per mitigare l’impatto ambientale dello sviluppo urbano) e intelligenza collettiva (che ci parla di adattamento: lavorare con la natura, non contro di essa. Come possiamo raccordare il vecchio e il nuovo?).
LANDSCAPE-BASED URBANISM
Martin Knuijt (OKRA)
La portata e l’orizzonte dell’urbanizzazione ci impongono di lavorare sulla dimensione sociale, culturale ed economica di un paradigma necessario per affrontare le sfide più urgenti del nostro tempo, dall’energia all’acqua e all’agricoltura.
L’obiettivo è un approccio integrato e a più livelli per città vivibili, a partire dal paesaggio esistente. Un mix ben studiato di attività urbane e bellezza paesaggistica stimola l’interazione tra le persone e la natura, ricucendo la frattura tra trasformazioni urbane e l’innovazione del paesaggio dei prossimi decenni.
LIBERATING
Brion Oaks (Former Chief Equity Officer, City of Austin)
Immagino un futuro di libertà, un futuro in cui gli individui saranno svincolati da qualsiasi forma di oppressione. Immagino un mondo che dà priorità all’equità e all’inclusione, che abolisce discriminazioni, povertà e disuguaglianze. Liberazione significa affrancarsi dalle costrizioni. Significa permettere alle persone di scegliere dove vivere e chi amare senza imposizioni. L’accesso al cibo, a una casa e all’assistenza sanitaria saranno riconosciuti come diritti umani fondamentali, garantendo dignità a tutti. L’equità va oltre l’uguaglianza: è offrire soluzioni a bisogni diversi e aiutare chi è ai margini.
Liberazione significa anche tutelare la dignità umana e creare spazi in cui ogni persona si sente accolta, tendere verso il valore dell’accettazione, della comprensione, dell’empatia e dell’impegno per la libertà individuale.
LIFE
Martyn Evans (Landsec U+I)
Tutta la nostra vita si svolge dentro o intorno agli edifici. Qui abitiamo, mangiamo, dormiamo, amiamo, diamo alla luce, impariamo, ridiamo, ci ammaliamo, guariamo e, alla fine, moriamo. Se noi sviluppatori immobiliari e architetti non comprendiamo questa realtà, siamo destinati a fallire.
Se non riusciamo a capire che creare spazi dove le persone possano vivere una vita felice e appagante non solo sarà apprezzato, ma anche estremamente prezioso, allora saremo perduti.
MIXED POLYCENTRICITY
Carlo Stanga (Illustrator)
Per migliorare la vita in città e ridurre i conflitti, è necessario superare la tradizionale struttura urbana monocentrica. Un unico centro genera periferie sempre più marginalizzate dove le tensioni sociali dilagano. Al contrario, una città decentralizzata e policentrica in cui c’è scambio, mixité culturale e di classe, stimola la coesione e la collaborazione, limitando la divisione tra quartieri chiusi per i più ricchi e ghetti per i più poveri.
Berlino è un ottimo esempio: una città senza un vero centro, con 12 distretti che fungono da più centri, ognuno dei quali possiede ulteriori sottocentri. Una struttura urbana che garantisce un ambiente equilibrato e democratico. Questa policentricità mista porta senza dubbio al potenziamento della città.
NATURE-BASED PLANNING
Mette Skjold (SLA)
“Prima la vita, poi gli spazi, poi gli edifici”: è la fine di un approccio alla pianificazione che mette gli edifici al primo posto. Nel prossimo futuro urbano, non ci si potrà più piegare alla tendenza a costruire. Al contrario, dovremo creare città pensate per tutte le forme di vita. Dovremo concentrarci sull’ambiente naturale, su ecosistemi fiorenti capaci di garantire la resilienza climatica e il benessere dell’umanità.
L’attenzione dovrà spostarsi dalla modellazione 3D degli edifici alla modellazione dinamica dei sistemi naturali e agli usi che le persone fanno degli spazi urbani. Comprendere il contesto fisico — suolo, acqua, microclima, habitat — è fondamentale per garantire la sinergia tra le strutture sociali, economiche e biologiche.
ORGANIC
Jaanus Juss (Telliskivi Creative City)
Nella creazione degli spazi, “organico” significa favorire la crescita attraverso il coinvolgimento autentico della comunità e rispettare l’identità originaria del luogo. Come nella creazione di una famiglia, una relazione sostenibile e duratura può prosperare solo in modo organico, permettendo cioè a ciascun soggetto di trovare il proprio ruolo e di adattarsi, nel tempo, agli altri.
Questo approccio rifiuta strutture rigide, abbracciando invece la flessibilità e lasciando che le idee si evolvano spontaneamente grazie alla collaborazione con artisti, imprenditori e la comunità locale. Questo processo alimenta una crescita autentica, valorizza le radici e crea un ecosistema culturale dinamico, fondato su una visione condivisa e sull’inclusività.
PETRI DISH
Nick Gaskell (Hawkins\Brown)
Una comunità urbana vivace è simile a una piastra di Petri? Come urbanisti abbiamo gli strumenti per creare “terreni di coltura”, definendo le condizioni all’interno di un ambiente urbano. Da qui, emergono culture diverse, complesse e inaspettate, che interagiscono in uno stato di temporaneità permanente.
Possiamo cercare di ottimizzare le condizioni, ma non possiamo prevedere con esattezza il risultato. Così, i nostri ecosistemi di vita e lavoro diventano più ricchi. Adottare un atteggiamento più coraggioso verso il controllo, il successo e il fallimento può permetterci di sperimentare liberamente e di adattarci meglio ai cambiamenti globali.
PLACEKEEPING
Vivian Doumpa (Placemaking Europe)
Prendersi cura degli spazi, fare “placekeeping”, riflette quella vocazione umana a conservare i nostri ricordi più preziosi all’interno di una scatola della memoria, mentale o fisica, da portare sempre con noi — qualcosa che ci connette con le persone e i luoghi ovunque andiamo. È un bisogno innato, che mostra come il placekeeping sia essenziale per il nostro futuro urbano, garantendo luoghi vitali, equi e inclusivi.
Trovare un equilibrio fra la necessità di creare luoghi nuovi (placemaking) e la tutela di ciò che esiste (placekeeping) è la strada per avviare nel modo corretto i processi di trasformazione: processi che allo stesso tempo rispettano la storia e abbracciano il futuro, stimolando il senso di cura e la resilienza.
PLEASANT
David Dudley (Bloomberg CityLab)
È il più modesto degli aggettivi qualificativi, non un concetto da manifesto: non eccezionale, non terribile, semplicemente “piacevole”. Negli anni ’50, un’azienda di birra della mia città lo usò come slogan: “Dalla terra del vivere piacevole.” Il messaggio, se c’è, è che potrebbe andare peggio.
Non sottovalutiamo il potere dei luoghi piacevoli. In modo discreto, quasi anonimo, gli spazi capaci di attrarre una vasta gamma di persone possono offrire un contributo più prezioso alla coesione sociale rispetto agli interventi promessi dai visionari dell’urbanistica. In un’epoca di forte polarizzazione, auguriamoci di saper creare servizi così ampiamente condivisibili da poter essere accettati, in qualche modo, da tutti. L’asticella è bassa, certo, ma puntare a un mondo meno sgradevole sembra un obiettivo realistico.
POLYSPACES
Stratosferica (Urban Knowledge & Agency)
Stiamo andando verso un futuro in cui dovremo imparare a avere relazioni multiple e aperte con gli spazi che viviamo. Vogliamo aggiornare il significato di concetti come proprietà, uso, funzione. La flessibilità è uno dei temi chiave del nostro tempo, soprattutto in ambito urbano: sperimentazione, usi temporanei, interventi che cambiano in corsa.
Il concetto di flessibilità degli spazi – qui concepiti come luoghi del temporaneo in cui sperimentare – si scontra con un modo di fare architettura e urbanistica statico, rigido, poco aperto al cambiamento. Si ragiona ancora in un’ottica di “esclusività”. La visione proposta dal Manifesto rinuncia a questa esclusività in favore di una proprietà diffusa e all’utilizzo condiviso. Parliamo di polyspaces per forzare il ragionamento e trovare quanto prima un nuovo paradigma nell’attivazione e nella gestione degli spazi urbani.
RECAST
Robert Hammond (Friends of the High Line)
Il progresso non consiste nell’abbandonare l’intelligenza civica del passato, ma costruire con gli strumenti, le tecnologie e le ambizioni del presente. Trasformare una linea ferroviaria industriale in una spina dorsale culturale, o reinterpretare i luoghi degli antichi riti termali come infrastrutture pubbliche per il benessere: non si tratta di gesti nostalgici, ma di modi per rileggere bisogni senza tempo in forme contemporanee.
Queste pratiche rivelano come le città possano essere allo stesso tempo archivi e laboratori: luoghi in cui il patrimonio alimenta l’innovazione. Unendo il vecchio al nuovo, creiamo spazi che risuonano attraverso le generazioni. Il vero progresso onora ciò che è stato, mentre osa immaginare ciò che sarà.
RECIPROCITY
Sneha Visakha (The Feminist City Podcast)
Possiamo immaginare mondi urbani fondati su abbondanza e reciprocità, dove i principi organizzativi siano mutualità e cura, invece di transazione e scarsità? L’urbanismo femminista immagina città per tutti gli esseri viventi, non solo per pochi, promuovendo l’interconnessione, la relazionalità e la coesistenza tra umano e non-umano.
La reciprocità deve essere il battito cardiaco della nuova vita urbana. In una città femminista la cura è infrastruttura, non eccezione. I luoghi diventano spazi di relazione, non semplici funzioni. La mutualità sostituisce l’estrazione, l’interdipendenza si riprende lo spazio. Sono città che non solo ci accolgono, ma lo fanno insieme a noi.
REGENERATION
Césare Peeren (Superuse)
Il compito più importante dei prossimi anni è rigenerare i nostri luoghi di vita. Riconnetterci con la natura e trasformare le città in ecosistemi vibranti, con spazio e diversità per tutte le forme di vita. Dobbiamo disimparare la cultura che ci è stata insegnata come se fosse la norma. Per farlo, dobbiamo riappropriarci delle città e trasformare gli spazi pubblici commercializzati in beni comuni.
Creare sistemi di scambio locali e fermare l’economia globale che saccheggia e violenta il nostro pianeta e tutti i suoi abitanti (compresi noi, europei occidentali: siamo stati solo i primi a essere colonizzati, siamo esattamente nella stessa barca dei popoli che chiamiamo indigeni; anche noi abbiamo perso la nostra indipendenza, la nostra cultura e la nostra terra) rendendoci indipendenti dai suoi sistemi.
REGENERATIVE PLACEMAKING
Tony Cho (Future of Cities)
Il placemaking rigenerativo ripensa lo sviluppo urbano armonizzando la crescita della città con la rigenerazione ecologica e il benessere delle comunità. Questa visione pone al centro la progettazione di spazi capaci di favorire connessioni profonde tra persone, natura e cultura, creando ambienti in cui possano prosperare sia i sistemi umani che quelli planetari.
Questo approccio integra architettura sostenibile, economie circolari e la costruzione intenzionale di comunità per ispirare innovazione, biodiversità e resilienza. Dando priorità alla collaborazione e ad un impatto olistico, il placemaking rigenerativo traccia un nuovo standard per il futuro delle città.
RESILIENCE
Zuhal Kol (OPENACT)
Il concetto di resilienza racconta la capacità delle città di orientare il cambiamento e progredire verso una versione sempre migliore di sé stesse: di adattarsi, resistere e prosperare fra le sfide e le trasformazioni. Resilienza racchiude l’idea di creare ambienti urbani sicuri e flessibili, abbastanza forti da riprendersi dalle avversità e da anticipare le conseguenze di fenomeni destabilizzanti.
Nella mia visione per un New City Making, la resilienza è il fondamento per costruire comunità urbane sostenibili, capaci di resistere alla prova del tempo e promuovere una crescita inclusiva, giusta, duratura.
RESILIENCE THROUGH NATURE
Nadina Galle (The Nature of Our Cities)
Oggi il city making deve mettere al primo posto il concetto di resilienza e integrare la natura nell’urban design: la natura è resilienza. Spazi naturali, tetti e pareti verdi, giardini acquatici intelligenti, una gestione attenta degli alberi: sono le soluzioni per aiutare le città ad adattarsi e a migliorare la propria vivibilità.
Le tecnologie emergenti offrono alla natura una possibilità di resistere nella città, riducendo le distanze fra noi e l’ambiente. Riconoscendo il valore intrinseco della natura, la tecnologia può rendere i suoi benefici ancora più tangibili, facendo sì che la natura prosperi insieme allo sviluppo urbano.
ROOTED
David West (Studio Egret West)
Proprio come le radici ancorano, nutrono e si adattano, così dovrebbe fare il nostro approccio al city making. Dobbiamo rispondere alle sfide poste da città sempre più dense, alle tracce di un passato industriale e alla necessità di futuri resilienti e rigenerativi, sviluppando luoghi che imparino dalla complessità, dalla varietà e dalla ricchezza sensoriale del mondo naturale. Ascoltando la terra, andando in profondità e portando alla luce le narrazioni culturali, possiamo favorire l’appartenenza umana e il benessere ecologico.
Essere radicati non è una posa; è un atteggiamento che contribuisce a dare forma a luoghi sostenibili con fondamenta solide. Essere radicati significa lavorare con rigore, reciprocità e rispetto. Significa dare voce alle realtà locali, progettare con responsabilità e creare luoghi che risuonino. Ogni intervento è un’occasione per restaurare, riconnettere e reimmaginare ciò che un luogo può diventare.
SOCIAL INFRASTRUCTURE
Pablo Sendra (Designing Disorder)
Chi pianifica le nostre città deve indagare il tessuto sociale di un luogo, imparare dalle strutture che già esistono, e partire da questi spazi e connessioni sociali per migliorarli e favorire nuove opportunità di interazione.
Dobbiamo fermare il modello di sviluppo urbano basato sull’idea di una crescita illimitata e affrontare le disuguaglianze concentrandoci su ciò che già abbiamo.
SOULFUL
Richard Upton (AreYou?)
Tutti abbiamo provato una forte emozione di fronte a certi edifici o spazi: una cattedrale, la piazza di una città, un impianto sportivo. Una strada stretta può trasmettere sicurezza, scoprire una piazzetta può portare gioia. L’acciottolato sotto i nostri piedi racconta la nostra storia.
Perché abbiamo bisogno di conferenze per discutere di come progettiamo le nostre città? Perché il settore immobiliare non crea spontaneamente spazi inclusivi e di qualità? Ogni developer dovrebbe lasciare in eredità alle generazioni future qualcosa di significativo. Per 35 anni, il mio lavoro è stato proporre un’idea di trasformazione animata dai sentimenti. Ho trasformato aree trascurate dell’Inghilterra in luoghi di cambiamento, valorizzando le comunità locali, il patrimonio e l’arte. Trasformare le città con passione è la vera responsabilità del settore immobiliare.
SUSTAINABILITY
Nick Hannes (New Capital: Building Cities from Scratch)
La crisi climatica ci impone di considerare la sostenibilità come la priorità nella progettazione urbana contemporanea. Per preservare lo spazio naturale e contenere gli effetti dello sprawl si dovrà puntare molto sullo sviluppo verticale degli edifici. Le città del futuro saranno progettate a misura d’uomo: vivibili, pensate per camminare, socialmente inclusive.
È fondamentale progettare più aree verdi per il raffrescamento naturale e il benessere. Il trasporto privato non può più rappresentare il fulcro della pianificazione urbana. Occorre invece puntare su sistemi di trasporto collettivo efficienti e accessibili, oltre a infrastrutture sicure per i ciclisti. Il modello neoliberale di sviluppo urbano, che antepone il profitto alla qualità della vita, non può offrire soluzioni alle sfide socio-ecologiche del futuro.
SWIMMABLE
Jan Edler (Flussbad Berlin)
Di fronte ai cambiamenti climatici e all’aumento delle temperature estive, le acque urbane rappresentano un enorme potenziale per l’adattamento delle città agli impatti climatici. È anche per questo motivo che, come parte della “Swimmable Cities Alliance”, collaboriamo con 100 organizzazioni in 59 città di 22 Paesi per restituire le acque urbane al loro ruolo di risorsa vitale e spazio ricreativo. Perché insieme possiamo rendere le città migliori!
Proprio per questo motivo sosteniamo anche l’iniziativa “Global Goals for Berlin”, che punta a trasformare Berlino in un nuovo modello di esposizione mondiale, riunendo competenze diverse in linea con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
TRANSFARMATION
Peter van Wingerden (Floating Farm)
TransFARMation significa trasformare la città in una società armoniosa, in una comunità più vivibile e capace di tutelare la biodiversità. La Floating Farm di Rotterdam è uno di questi modelli di trasformazione: portare l’agricoltura nel cuore della città significa reimmaginare la relazione tra il paesaggio urbano e quello rurale. È fattibile, ed è il futuro.
Possiamo rivedere il nostro modo di vivere e produrre accorciando le filiere, riducendo al minimo l’impatto ambientale e favorendo la biodiversità. Questa è la TransFARMation: un invito a cercare un equilibrio nuovo e più sostenibile per le nostre città.
TRANSFORMATION
Alizé Carrère (National Geographic Explorer)
Il city making del futuro deve concentrarsi sulla trasformazione socio-politica per i cittadini di oggi e di domani. Questo significa una maggiore attenzione alla dimensione economica, politica e sociale della vita umana.
In altre parole, le città del futuro non avranno solo un nuovo aspetto infrastrutturale o una nuova immagine patinata e “più verde”. Queste città si impegneranno di più nei processi collaborativi, come la progettazione partecipata, nelle questioni di governance e nel proporre modelli economici alternativi che contestano un approccio allo sviluppo e alla pianificazione inaccessibile e spesso ingiusto.
UNDENSITY
Stratosferica (Urban Knowledge & Agency)
Dobbiamo ricreare gli effetti positivi della densità dei centri urbani — diversità, efficienza, creatività, possibilità di networking, incremento economico — nelle aree suburbane e nei territori più remoti. L’Undensity non è la negazione della densità, bensì il potenziamento della densità nel non urbano.
Non nella forma materiale, ma in quella tecnologica, spirituale, che non ha come conseguenza la cementificazione, ma una spinta vitale prodotta dalle città: aperta al nuovo, poliedrica e serendipica. Un’urbanizzazione soft, non dell’hardware, ma del software. Place, work, folk. Ci ispiriamo all’approccio progettuale coniato più di cent’anni fa dal sociologo e urbanista Patrick Geddes, per capire come replicare l’esperienza urbana anche lontani dalla città — senza per forza costruire, inquinare, speculare.
UNFINISHED
Valentina Chiappa Nuñez (MVRDV)
Le città non sono prodotti finiti; sono processi. Abbracciare l’idea della città come incompiuta significa riconoscerne la natura in evoluzione – modellata dal tempo, dalle persone e da futuri imprevedibili. Una città incompiuta è aperta all’adattamento, reattiva a ciò che esiste e inclusiva di ciò che deve ancora arrivare. Dà priorità alla flessibilità, stratificando storie, bisogni e possibilità. In questa prospettiva, la pianificazione non è più una questione di controllo, ma di abilitazione — lasciando spazio alla spontaneità, alla resilienza e all’immaginazione collettiva.
Una città incompiuta è come un sistema vivente, in cui le parti si influenzano a vicenda, si risolvono, si contraddicono e si sostengono reciprocamente. Progettare pensando all’incompiuto significa avere fiducia nella capacità della città di crescere, ripararsi, reinventarsi — mai conclusa, sempre in divenire.
URBAN PEDAGOGY
Bram Dewolfs (Urban Foxes)
Per un city making inclusivo, in cui gli stakeholder siano nelle condizioni di collaborare, serve prima un processo di apprendimento urbano. Parliamo dei processi partecipativi. Soggetti ben informati prendono decisioni più intelligenti: per questo le attività dovrebbero essere precedute o affiancate da sessioni di pedagogia urbana, assicurandosi che siano divertenti. Social designer, placemaker e educatori giocano un ruolo cruciale, e anche i pianificatori dovrebbero avere più esperienza nelle attività non formali.
L’educazione non formale – dai living lab ai progetti collettivi — riesce a adattare le modalità di apprendimento agli ambienti urbani, favorendo il coinvolgimento dei giovani nei temi dello sviluppo sostenibile. Attraverso la pedagogia urbana i progetti di Urban Foxes migliorano il benessere urbano e includono i soggetti emarginati, dando vita a spazi pubblici di qualità e favorendo l’interazione sociale.
URBAN VOLUNTEERING
Stratosferica (Urban Knowledge & Agency)
Le città giocano un ruolo fondamentale nel futuro dell’umanità. Coinvolgiamo i bambini, introduciamo l’Educazione alla Città come materia viva nelle scuole elementari, medie, nei licei. Promuoviamo delle ore di volontariato urbano. Le città hanno sempre più bisogno delle nostre attenzioni e cure.
Le persone avranno sempre più tempo libero. È tempo di comprendere che le città non sono solo il prodotto più straordinario della coscienza e dell’azione umana: sono organismi viventi, di cui prenderci cura, con passione, responsabilità, inventiva. La città è nostra! Prenderasene cura è bello ed educativo. Il volontariato urbano porta con sé una nuova dimensione più profonda dell’essere cittadini. Facciamo qualcosa per migliorare la nostra via, il nostro quartiere, la nostra città. Scopriamo nuovi legami, facciamo del bene e produciamo bellezza.
VERDANT
Patrice Gillespie Smith (The Underline)
Per affrontare le sfide climatiche e gestire la crescita demografica, le aree urbane devono recuperare gli spazi abbandonati, rinaturalizzarli con infrastrutture verdi innovative e ripristinare gli ecosistemi stessi che hanno dato origine alla nostra civiltà.
Dobbiamo cogliere ogni opportunità per reintrodurre la natura nel mondo sviluppato.
YES
Ya-Ting Liu (New York City’s Chief Public Realm Officer)
A partire dal 2023, circa 4,6 miliardi di persone, pari al 57% della popolazione mondiale, vivono nelle città. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, questa percentuale salirà al 68% entro il 2050. L’ambiente costruito nelle città ha un impatto profondo sulla sostenibilità, sull’accessibilità economica e sulla qualità della vita.
Le città sono centri di innovazione e, seguendo questo spirito innovativo, dobbiamo continuare a dire SÌ! Sì a più case, sì a un trasporto pubblico migliore, sì a dare priorità ai pedoni, sì agli investimenti negli spazi pubblici! Quando partiamo da un no, la nostra capacità di progredire viene bloccata. Le città devono essere il modello per il futuro e le generazioni future contano su di noi. Dobbiamo rispondere a questa chiamata e avere il coraggio di immaginare nuove possibilità.