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Nel 2020, nonostante tutto, Torino Stratosferica torna alla Centrale della Nuvola Lavazza per la quarta edizione di Utopian Hours (23-25 ottobre). In un anno così complesso, il festival deve aggiornare il proprio modo di rivolgersi al pubblico e sceglie di proporsi come in-person & live streaming event, un evento comunque fisico, a cui partecipare di persona nel rispetto delle norme, ma che per la prima volta offre la diretta dei suoi incontri in streaming.
Le ore utopiche si confermano il riferimento annuale per tutti city lover e, grazie alla nuova formula, si aprono a un audience sempre più internazionale. Saranno oltre 800 i partecipanti alla Centrale Lavazza, mentre le dirette supereranno i 1600 collegamenti da remoto, con spettatori provenienti da tutto il mondo.
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Il tema di Utopian Hours 2020. Ulteriore novità, il festival delle città propone per la prima volta un tema generale. La città è in pericolo, riflette Torino Stratosferica: l’idea stessa di città non può più essere data per scontata, la sua identità e la sua ragion d’essere sono messe profondamente in discussione. The City At Stake è il titolo che lancia la quarta edizione del festival.
Perché questa riflessione? Da vent’anni una serie di eventi drammatici minano il concetto stesso di città: il terrorismo, la crisi finanziaria, la crisi ambientale e biologica. E nel 2020, in modo drammatico, la pandemia. Dopo un secolo e mezzo di accuse e critiche, la città era stata rivalutata come luogo primario della nostra evoluzione, “assicurazione” ideale contro i grandi disastri del Novecento. Oggi è sul piatto, in bilico, contesa tra interessi diversi. La città gloriosa, la città libera, la città che esalta, quella portata in palmo di mano dai giovani e dagli urbaniti, dai talenti tolleranti e dagli innovatori sociali, la città come soluzione alle questioni globali, la città insomma che tutti amiamo e sogniamo di migliorare, è a un bivio. Che ne sara della città se l’essenza stessa della città è a rischio?
Il festival cerca di dare risposta a questa e altre domande fondamentali, con la sua solita formula aperta, multidisciplinare, provocatoria, appassionata. Con i suoi richiami ai grandi visionari urbani del passato, e con ospiti internazionali di primo livello che ci aiutino a capire il senso del prossimo futuro.
Venerdì 23 ottobre.
Utopian Hours 2020 riparte dal
city imaging, con un workshop aperto al pubblico in cui creare insieme nuove visioni per la città. La location, Villa Charbonnier, è di particolare ispirazione: nella villa settecentesca sulla collina di Moncalieri, il team di Torino Stratosferica ha guidato i 30 partecipanti in un laboratorio vivace, da cui sono emerse idee provocatorie, intuizioni coraggiose e scenari utopici per una Torino at its best
Le porte della Nuvola Lavazza si aprono nel pomeriggio con una riflessione sui Future Urban Trends del 2020, dieci fenomeni emergenti legati ai modi di vivere e percepire le città (consumi, mobilità, tecnologia, cultura), frutto dell’attività di ricerca sullo sviluppo urbano che l’associazione porta avanti negli anni. Ne discutiamo con Nolan Giles, design editor del magazine Monocle, sul palco della Centrale, e una serie di ospiti internazionali, ognuno legato a un tendenza in discussione. Si collegano con noi Aaron Bolzle di Tulsa Remote, città americana con ambizioso programma di citizen recruitment; Igor Moiseev di Standard, che è fra le società digitali che si muovono verso un’idea di contactless retail; il designer Jip van Leeuwenstein, creatore di una maschera capace di inibire i sistemi di riconoscimento facciale (surveillance avoidance); infine Agnese Riccetti e Francesco Marchet di Connected Catapult Places, con cui discutere di nuovi mezzi di civic gamification.
L’incontro successivo è dedicato al tema di Utopian Hours. Parola a due esperti italiani: Maurizio Carta e Davide Ponzini si interrogano sull’idea di una città a rischio e su come l’urbanistica possa rispondere alla crisi delle città. Da una parte le responsabilità dell’attuale architettura internazionale, dall’altra la proposta di soluzioni e approcci inediti per tornare a immaginare, ad agire e a fare un salto di paradigma per affrontare le sfide presenti e future. 
Prima di passare al panel istituzionale, il programma concede uno spazio al Precollinear Park, primo intervento di placemaking di Torino Stratosferica, che interessa una striscia verde inutilizzata lungo il tracciato di una linea tranviaria sospesa e la trasforma in un parco lineare aperto alla vita di quartiere. Il festival dedica al progetto una parte degli allestimenti alla Centrale: un breve racconto in cui ripercorrere le evoluzioni del parco, dall’idea iniziale e i primi interventi in piazza Hermada, fino all’arrivo degli arredi urbani in corso Gabetti e la “conquista” del ponte. 
A seguire, il panel che riunisce gli sponsor e i partner principali del festival, con Alberto Anfossi di Fondazione Compagnia di San Paolo, Luca Angelantoni di Fondazione CRT, Guido Bolatto di Camera di Commercio e Gian Carlo Magnoli Bocchi di Edison. Insieme a loro Torino Stratosferica discute le sue dieci proposte per la città incluse nella mostra Un menù per Torino: dieci azioni, tanto visionarie, e provocatorie, quanto realizzabili, sui grandi temi che da sempre l’associazione sente più urgenti, da un nuovo waterfront sul Po a un luogo di aggregazione in collina, dalla rigenerazione dei parchi a una città davvero policentrica.
Il primo ospite internazionale della serata è l’olandese Karen Rosenkranz, autrice di City Quitters (Frame), tra i primi libri a studiare il fenomeno della fuga dalla città da parte dell’industria creativa e a portare il city quitting fra le nuove espressioni di questi tempi. Con testimonianze e immagini da più Paesi, City Quitters mostra la possibilità di portare avanti uno stile di vita contemporaneo, dinamico e creativo, lontano dalle pressioni delle città. Il talk di Rosenkranz ripercorre alcune di queste storie, per aiutarci a capire quanto e perché sia così forte nel mondo il “richiamo della campagna”.
A chiudere la prima giornata di festival, l’headliner del programma 2020: Richard Florida, il più influente studioso urbano degli ultimi decenni, raggiunge virtualmente la Nuvola Lavazza da Toronto, per condividere la sua prospettiva sulle sfide urbane di oggi. Per Richard Florida la pandemia non segnerà la fine della città, ma accelererà bruscamente il cambiamento: centri con una popolazione più giovane, con meno uffici e più case, quindi probabilmente più accessibili e creativi. Il messaggio di Florida è stato chiaro: uno sviluppo più equo non è un’opportunità, “it’s an obligation”. Con questa esortazione al cambiamento consapevole si chiude la prima, intensa giornata di festival.
Sabato 24 ottobre.
La seconda giornata di Utopian Hours inizia con un workshop fuori dalla Centrale. Carles Baiges del collettivo Lacol (Barcellona), guida un laboratorio dedicato al co-housing e alla sperimentazione abitativa. Un’occasione per imparare a progettare, insieme e in modo conviviale, i possibili spazi condivisi di una residenza collettiva. Il laboratorio è stato curato da Silvia Cafora di Homers.
Le porte della Centrale si aprono nel frattempo alla Cina. L’ospite è Juan Du, architetta di base a Hong Kong, che presenta in anteprima in Italia The Shenzhen Experiment: The Story of China’s Instant City. Un affascinante resoconto del processo di urbanizzazione che ha portato Shenzhen, piccolo villaggio nel sud della Cina, a diventare una delle megalopoli più popolose del Paese. Il talk di Juan Du è l’occasione ideale per dare spazio a China Goes Urban. La nuova epoca della città, mostra al Museo d’Arte Orientale dedicata al tema delle trasformazioni urbane in Cina: un progetto del Politecnico di Torino e di Prospekt Photographers, con la Tsinghua University di Pechino, raccontato al festival dall’architetto Michele Bonino
Il talk successivo è un viaggio tra i suoni e i volti di cinque metropoli emergenti in Asia, Sud America e Africa. Il reportage Future Cities dell’olandese Stephanie Bakker ci porta alla scoperta di Addis Abeba, Kinshasa, Medellín e Lima, svelando le ambizioni e i talenti che animano le realtà creative e culturali di queste città. Un avvincente progetto di constructive storytelling per svelare il lato virtuoso di quelle che potrebbero essere le città del futuro.
Il pomeriggio del secondo giorno si apre con un incontro a più voci moderato da Greg Lindsay, direttore di NewCities, no-profit canadese dedicata al domani delle città. Insieme a lui Gabriella Gomez-Mont (Città del Messico), Júlia Miralles de Imperial (Barcellona) e il designer Thomas Ermacora (Londra) discutono di benessere urbano e di come organizzare le nostre città in modo più giusto, mettendo al centro la salute e il movimento per garantire alle persone una maggiore sensazione di libertà.
Dopo il primo laboratorio della mattina, il programma prevede un secondo workshop dedicato all’abitare condiviso, sempre a cura di Silvia Cafora di Homers, in questo caso con la partecipazione di James Binning, membro del collettivo di architetti, progettisti e designer Assemble (Londra). I partecipanti hanno lavorato on-site, in uno dei cantieri attivi di Homers, progettando strumenti di ospitalità e momenti di socialità tramite il design.
Anche in questa edizione speciale tornano i Visiting Urban Explorer. Il primo a presentarsi è Luìs Aniceto, fotografo portoghese: un “VUE” non convenzionale, che conosce bene la città. Aniceto si è trasferito a Torino a ridosso del primo lockdown e ha iniziato da subito a interessarsi in particolare delle periferie. Attraverso le sue immagini racconta i quartieri marginali e meno noti della città, rivelando tutto il potenziale di questi luoghi “minori”. Nella sua video intervista propone una riflessione per il Trincerone che taglia Barriera di Milano: un fossato fra le case, riconquistato dalla natura, che attende da tempo nuovo uso. 
Utopian Hours 2020 tocca anche il tema del gender balance, integrandolo nel dibattito sul city making. Con Leslie Kern, autrice di Feminist City: Claiming Space in a Man-Made World, il festival affronta la disuguaglianza nelle esperienze che donne e uomini provano nel vivere uno spazio pensato e realizzato secondo una prospettiva maschile. Il talk, tra i più attesi di questa edizione, è un invito a costruire città più inclusive e eque. Come? Partendo dai corpi, dall’interazione fra cittadini, strutturando comunità più responsabili e consapevoli dell’importanza collettiva che ha l’inclusività di genere.
La musica nello sviluppo urbano è il tema successivo del festival, sempre attento dalla prima edizione alla cultura della notte e all’idea di una 24-hour city. Danny Keir è il fondatore di Enki Music. Consulente a Londra, Keir mostra come la musica possa interagire con l’ambiente urbano, migliorandone la vivibilità e avere così un impatto positivo sulle comunità. Il placemaking musicale diventa una celebrazione dell’identità del luogo e una leva per un’esperienza urbana unica — una riflessione ancora più importante in un momento così difficile per il settore della musica dal vivo.
Acqua e fiumi urbani sono da sempre tra le priorità di Torino Stratosferica. Ad affrontarle in questa edizione, e in modo davvero notevole, è Andreas Ruby, direttore dello Swiss Architecture Museum (S AM) di Basilea, dove ha curato la mostra Swim City. In Svizzera l’abitudine di nuotare nei fiumi in città è cultura condivisa: Zurigo, Basilea, Ginevra sono a tutti gli effetti città “balneabili”. Com’è possibile? La pulizia dell’acqua e una condivisione dei rischi sono i fattori chiave per garantire un livello di sicurezza. In questo scenario, fiumi e laghi diventano grandi spazi pubblici, per l’attività fisica e l’incontro, oltre che risorse naturali. Chissà che in futuro possa essere lo stesso per la nostra città dei quattro fiumi?
Nel tardo pomeriggio è il turno della testimonianza sincera, appassionata e magnetica di Marcus Fairs, fondatore e editor-in-chief di Dezeen, fra i media più popolari al mondo per chi segue l’architettura e il design. Il suo talk ripercorre gli ultimi mesi vissuti, intrecciando esperienza personale e professionale. Fairs ci racconta come la redazione si sia adattata nella nuova situazione: Dezeen ha continuato a raccontare come l’architettura e il design abbiano risposto alla pandemia, capendo di essere molto di più di un sito di informazione. Fairs ha parlato del valore sociale del proprio lavoro, della capacità di aggregare e far sentire parte di una comunità i progettisti e il pubblico raccolti negli anni.
La serata si apre con uno dei progetti più visionari mai presentati al festival. È Oceanix, il modello di insediamento galleggiante, modulare, sostenibile, pensato per estendere la capacità abitativa di qualsiasi centro costiero e assicurare un modello di comunità in equilibrio con l’ambiente circostante. A presentare il progetto è Marc Collins Chen, alla guida della società che sta realizzando queste città sull’oceano. Può sembrare un’utopia, un’impresa al limite della fantascienza. Ma il percorso per la costruzione di Oceanix City, primo caso “pilota”, è iniziato — e con un progetto opera del celebre studio d’architettura BIG (Bjarke Ingels Group).
La seconda giornata del festival si chiude con Samir Bantal, direttore di AMO, task force di ricerca del celebre studio OMA fondato da Rem Koolhaas. Bantal presenta Countryside, The Future, mostra curata da Bantal con Koolhaas per il Guggenheim di New York. A partire da un lungo lavoro di ricerca, Countryside indaga su più fronti l’interazione tra l’uomo e quel 98% di terra emersa a cui attribuiamo il nome di “campagna”: da luogo di contemplazione a terreno fertile per la wellness industry, da cantiere per i piani visionari dei grandi leader politici del Novecento a laboratorio in cui sperimentare nuovi modelli produttivi. Oggi le aree rurali di tutto il mondo stanno subendo con maggiore intensità gli effetti devastanti del cambiamento climatico e per questo l’intervento di Bantal si conclude con un invito alla salvaguardia: non ci resta che salvare la natura per salvare noi stessi.
Domenica 25 ottobre.
La giornata conclusiva di Utopian Hours 2020 si apre tornando sul tema dell’abitare condiviso, con un panel condotto da
Matteo Robiglio di Homers. Sul palco le due realtà, rispettivamente da Barcellona e Londra, protagoniste dei workshop del giorno precedente: Carles Baiges della cooperativa di architetti Lacol e James Binning del collettivo inglese Assemble Architects. I laboratori e l’incontro, dedicati alla costruzione di una comunità urbana migliore a partire dalle abitazioni, completano il racconto presentato al primo piano dalla mostra Utopian Housing, sempre realizzata con Homers, che ripercorre l’evoluzione dei modelli abitativi dal socialismo utopico di metà Ottocento ai progetti più innovativi di oggi.
Il talk successivo richiama alla Centrale della Nuvola Lavazza la comunità torinese di skater. L’ospite è Léo Valls, pioniere dello skate urbanism, approccio in cui far convivere city making e skateboarding. Valls porta da Bordeaux l’esperienza del suo gruppo, Dedication, realtà francese che offre consulenza a policy maker e amministratori che vogliono ripensare lo spazio pubblico integrando lo sport di strada per eccellenza. Un progetto creativo e concreto per migliorare le nostre città.
Il pomeriggio prosegue con Ewan Anderson, invitato a raccontare What If?, side-project di 7N Architects, studio di architettura di Edimburgo. Il progetto, simile per certi aspetti a quello di Torino Stratosferica, parte da una semplice domanda: come coinvolgere i cittadini nel riflettere su un uso migliore degli spazi della città. Parcheggi riconvertiti in gallerie d’arte, piste ciclabili per una viabilità elettrica, creare nuovi quartieri in aree portuali disabitate: e se queste idee di rigenerazione frutto dell’immaginazione divenissero possibili?
Domenica è il giorno del secondo e ultimo Visiting Urban Explorer di questa edizione. L’olandese Jeroen Beekmans della agenzia di trasformazione urbana Pop-Up City condivide con il pubblico del festival il resoconto della sua libera esplorazione in città. Per il futuro di Torino immagina una capitale delle Alpi, una città storica che deve ritrovare un equilibrio tra l’ambiente urbano e gli elementi paesaggistici circostanti. Tra le scoperte delle sue passeggiate urbane camminando lungo il fiume anche il Precollinear Park, il nuovo parco urbano frutto del primo progetto di placemaking dell’associazione.
I momenti di incontro fra immaginazione e concretezza non sono finiti. Le Copenhagen Islands sono un divertente progetto per creare spazi temporanei nei canali e nell’area portuale della città, potenzialmente replicabili ovunque. I creatori, il danese Magnus Maarbjerg e l’australiano Marshall Blecher (live dalla notte di Melbourne), mostrano vantaggi e possibilità dei loro piccoli isolotti: creazioni semplici, elementari ma incredibilmente efficaci. Alla domanda sulle possibilità di fare lo stesso sul Po, i due promettono di tornare a Torino per pensare insieme a un progetto pilota in Italia.
Utopian Hours è anche mobilità. Il festival dà spazio alla startup svizzera Komma, creatura di Petter Neby (già fondatore della società Punkt.) che nei prossimi anni presenterà sul mercato un veicolo elettrico di nuova concezione. Neby lo presenta insieme a Lowie Vermeersch, designer alla guida di Granstudio, la realtà torinese che ha disegnato il modello: per superare i problemi dell’attuale traffico, Komma propone un mezzo a due posti a metà fra auto e moto. Un’anticipazione capace di incuriosire e accendere la discussione su come ci muoveremo in futuro.
L’ultimo giorno è il momento in cui il festival propone i suoi “torinesi brillanti”: un’ora di utopia e appartenenza, in cui lanciare idee e proposte per la città di domani. I protagonisti di questa edizione sono l’imprenditore sportivo Fabrizio Rostagno, che presenta il suo progetto per il recupero del motovelodromo di Torino, il giornalista gastronomico Luca Iaccarino, che rilancia l’idea di una food commission per una Torino davvero capitale del gusto, e l’educatrice Valentina Sacchetto che riporta l’attenzione sulle energie dei più giovani e sulle storie di chi è arrivato a Torino come migrante. A chiudere la serie, l’architetto e pensatore Carlo Ratti in diretta da Rio de Janeiro, che accende la platea con una serie di riflessioni nette sul rapporto e la collaborazione con Milano (“il futuro di Torino è Milano”)
Il talk successivo propone un nuovo ospite internazionale, ma fortemente legato alla città. Victoria Thornton è la creatrice a Londra del format Open House: più che un semplice format di eventi, un movimento diffuso in oltre quaranta città di tutti i continenti, inclusa Torino. L’apertura, l’incontro e l’inclusione sono da sempre i valori al centro del lavoro di Thornton. Un’esperienza che oggi, con la sua nuova realtà Urban Dialogue, vuole mettere a disposizione delle altre organizzazioni impegnate sugli stessi temi. Architettura per tutti, partecipazione collettiva, educazione per creare un “senso urbano” nelle nuove generazioni: costruire un dialogo è l’unico modo per rendere le nostre città luoghi vibranti e più vivibili.
Nella serata finale di Utopian Hours 2020 si parla di dati con Sanne van der Burgh, la direttrice di MVRDV Next — task force di ricerca e sviluppo tecnologico del celebrato studio fondato nel 1993. Da Bangkok a New Delhi fino a Rotterdam, città base di MVRDV, una serie di casi studio che ci hanno dimostrato come i dati possono fornire gli strumenti per affrontare al meglio sfide come l’alimentazione, l’accesso all’acqua potabile, il consumo energetico per città più sostenibili, connesse, salutari.
La quarta edizione del “festival delle città” si chiude con un nome che si presenta da sé: Guardian Cities, la sezione dedicata alla città del giornale inglese, progetto oggi concluso a cui Torino Stratosferica ha sempre guardato con attenzione. L’editor-in-chief della redazione, Chris Michael, ripercorre sei anni del migliore giornalismo urbano, dall’intuizione originaria di dedicarsi al racconto di un mondo sempre più urbanizzato, fino agli ultimi reportage sulle divided city. Un invito alla consapevolezza delle tante sfide irrisolte e delle diseguaglianze crescenti che ci stanno interrogando. Guardian Cities ci lascia con la domanda più incisiva possibile: “Who are our cities for?
Le mostre. Anche per l’edizione 2020 Torino Stratosferica sfrutta gli spazi della Centrale della Nuvola Lavazza per mostrare al pubblico il proprio lavoro di produzione contenuti: quattro mostre che in modo trasversale rileggono i più recenti fenomeni urbani e propongono nuove soluzioni per la città del domani.
Dopo la prima selezione del 2017 Torino Stratosferica conduce una nuova ricerca sui trend urbani del futuro. Tra inversioni di tendenza e nuovi scenari, anticipare il futuro significa dare risposte a domande inedite, ma anche essere pronti a cambiare forma, struttura e comportamento. Il festival presenta 10 idee destinate a riscrivere le regole del vivere in città. Tecnologia, attivismo, nuove esigenze lavorative e sociali, spazi che si svuotano e altri che si ripopolano. Con l’exhibition Future Urban Trends Torino Stratosferica propone uno sguardo contemporaneo sulle nuove dimensioni del vivere urbano.
La quarta edizione del festival dedicato al city making non poteva non concedere uno spazio al Precollinear Park, il primo intervento di placemaking di Torino Stratosferica. Nella mostra Precollinear Park. Il parco che fa pendenza abbiamo raccolto le evoluzioni del progetto, mettendo in luce l’esigenza —oggi più che mai— di creare spazi verdi ricchi di vita nelle nostre città. 
Tra le mostre allestite all’interno della Centrale della Nuvola Lavazza anche Un menù per Torino. 10 portate per cambiare la città. Torino Stratosferica propone di rilanciare l’immagine della città attraverso azioni fattibili, potenti e di immediata comprensione. Concepito come elenco di azioni ambiziose per promuovere la città nelle più importanti fiere di real estate, il menù si rivolge agli investitori internazionali, che tra antipasti, primi, secondi e dolci avrebbero l’imbarazzo della scelta. I progetti, immaginati insieme ai creativi di GMZN, traducono in immagini d’impatto le proposte per una Torino at its best.