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Edizione 2022

Un mondo di 8 miliardi di città: l’evoluzione urbana tra attivismo e innovazioni tecnologiche. Dal “fare città” al “fare i cittadini”.

La trilogia contemporanea di Utopian Hours sul futuro della città volge al termine, dopo essere iniziata nel 2020 con “The City at Stake”.
La venue di Utopian Hours — La Centrale, Nuvola Lavazza
La venue di Utopian Hours — La Centrale, Nuvola Lavazza
Con “A World of 8 Billion Cities”, l’edizione 2022 del festival giunge a una conclusione coerente, ed è un lieto fine. La città si libera dalla sua dimensione fisica, moderna, capitalistica, industriale: diventa una categoria dello spirito, torna a essere un’immagine prima di tutto mentale, un modo di vivere, legato alle qualità e alle volontà di noi persone prima che agli spazi e agli edifici, e così ritrova un ruolo positivo nella storia e nell’evoluzione umana.
La città “in crisi”, contesa tra tensioni globali e sguardo iperlocale, trova la sua collocazione contemporanea nel mondo intero. Ogni abitante del pianeta, se lo desidera, può vivere una propria dimensione urbana attraverso le proprie scelte: una urbanità valoriale, legata a gesti, consumi, comportamenti, più che ai luoghi. Introducendo l’idea di “fare i cittadini” —ora che il mondo si avvicina a essere abitato da 8 miliardi di persone — e la volontà di rifondare il concetto di città a livello planetario, lo sguardo di Utopian Hours si sposta verso una nuova teleologia urbana.
Venerdì 14 ottobre
L’edizione 2022 del “festival delle città” ha dato ampio spazio all’innovazione urbana in Italia. Per farlo al meglio, abbiamo deciso di coinvolgere i delegati di oltre 30 città italiane che si sono confrontati con esperti, professionisti e consulenti urbani. Utopian Hours 2022 si è aperto venerdì mattina con una serie di tavoli di lavoro al Mercato Centrale di Torino, con riflessioni su temi differenti: Smart Citizens, sulle nuove prospettive per una città più giusta, e The Suspended City, sull’uso temporaneo dei luoghi in attesa di trasformarsi.
Al termine dei due tavoli di lavoro del venerdì i partecipanti hanno visitato il Precollinear Park: un’occasione per vedere da vicino il primo intervento di placemaking di Stratosferica. La pausa pranzo sul ponte Regina Margherita è stato il modo migliore per avvicinarsi all’inizio ufficiale di Utopian Hours 2022.
Il primo appuntamento all’interno de La Centrale, Nuvola Lavazza è con il panel The Seductive City, per affrontare il tema della “città seducente”: un luogo capace di attirare a sé talenti, capitali, flussi turistici, ma anche di mantenere un rapporto forte con i suoi abitanti. A raccontare i loro progetti di rigenerazione e le diverse iniziative di promozione alcuni amministratori e alcune amministratrici da diverse città italiane. Emma Taveri assessora al Turismo di Brindisi, con la sua testimonianza della rinascita di una città che desidera investire ancora su di sé. Andrea Catarci Assessore al Decentramento di Roma, che ha parlato delle iniziative sociali nei diversi quartieri di una città enorme e dalle sfide uniche. E ancora: la Venezia fuori dagli stereotipi dell’Assessore all’Urbanistica Massimiliano de Martin e Andrea Bortolamasi, Assessore alla Cultura di Modena, che ci ha raccontato di una città concentrata sulla cultura e la creatività. A fare da controcampo, le raccomandazioni e gli spunti di Giovanni Brianza, amministratore delegato di Edison NEXT, e l’intelligenza sempre puntuale dell’itinerante Paolo Verri.
Il pomeriggio di panel dedicati alle città italiane ha affrontato poi anche il tema cruciale degli usi temporanei: il rapporto tra pubblico e privato, le sperimentazioni più radicali, la questione della responsabilità dei luoghi e della necessità di strumenti normativi da rinnovare.
L’incontro si chiamava Everything is Temporary e a condividere progetti e visioni sono stati chiamati Paolo Mazzoleni (Assessore all’Urbanistica di Torino), Cecilia del Re (Assessora all’Urbanistica di Firenze), Valentina Orioli (Assessora alla Mobilità Bologna) e Carlotta Bonvicini (Assessora all’Ambiente di Reggio Emilia). insieme a loro anche Nicola Campri di Fosbury Architecture e Michele Montevecchi di NHood. In chiusura abbiamo chiesto agli ospiti cosa vorrebbero abolire, togliere, abbattare nelle loro città? Auto, gradi di temperatura, un’immagine troppo turistica. E, nel caso di Torino, il peso di dover sempre dichiararsi “capitale di qualcosa”.
Il “venerdì italiano” del festival ha portato infine amministratori e amministratrici a confrontarsi anche attorno a un’espressione composta da due parole chiave: Smart Utopias. In cosa consiste l’intelligenza di una città? E come svilupparla? Le risposte alle domande di Giacomo Biraghi e Simone d’Antonio di Anci dimostrano che non esiste un approccio unico.
Tra strategie generali e tattiche specifiche, sul palco si succedono le idee di trasformazione di Maurizio Carta (Assessore all’Urbanistica di Palermo), Tommaso Ferrari (Assessore alla Transizione ecologica di Verona) e Mattia Giorno (Assessore alla Mobilità di Taranto). Hanno portato la loro prospettiva anche Paolo Ruffino, direttore di Decisio Italia, consulente esperto di mobilità attiva, e Laura Pellegrinelli della società internazionale di real estate Lendlease.
Il programma italiano del festival arriva al culmine con il panel che riunisce i sindaci di quattro città italiane: Stefano Lo Russo da Torino, Emilio Del Bono da Brescia, Patrizia Manassero da Cuneo, Carlo Salvemini da Lecce.
Al centro del dialogo, che si è trasformato presto in uno scambio sinceramente sentito, la questione delle questioni per il primo volto di un’amministrazione: cosa può fare davvero un sindaco o una sindaca per il benessere della propria città? Ci sono il tema del rapporto con i governi centrali, il tema degli effettivi poteri, il tema delle poche risorse a disposizione, che sono sfide trasversali a tutte le città.
Tante voci, in questo giro d’Italia che è il primo pomeriggio di Utopian Hours, ma da tutti arriva un appello accorato. La città appartiene a chi se ne prende cura. Solo la partecipazione personale, la solidarietà, il coinvolgimento attivo di tutti i cittadini potrà essere l’unica forza a salvaguardare quello che è l’ultimo avamposto di una società democratica, oggi fortemente in crisi: la città.
Con la pillola di Luigi Prestinenza Puglisi ci siamo avvicinati al clou del primo giorno di Utopian Hours. Al centro del suo intervento una metafora: immaginiamo la città —ma anche la vita di ognuno di noi— come una cassettiera. Un complesso sistema che raccoglie e cataloga le nostre cose più preziose, come fanno i computer. Cosa succede se questa struttura, ibridandosi, arriva a un punto di rottura? Come ci relazioniamo con l’ambiente urbano quando con una buona connessione wifi possiamo lavorare e produrre stando lontani dagli uffici, dal traffico, dalle strade?
Il tema è stato ancora una volta il potere seduttivo dei luoghi: Puglisi ci ha ricordato che la forza attrattiva delle città è direttamente collegata alla loro capacità di essere non solo funzionali ma anche poetiche. Un intervento breve ma estremamente evocativo che ha introdotto i due primi ospiti internazionali dell’edizione 2022.
Il prime time del venerdì ha ospitato alcuni dei nomi più affermati della cultura urbana nel mondo. Amanda Burden, per 12 anni alla guida del dipartimento di City Planning di New York con il sindaco Michael Bloomberg, è tra questi.
Nel suo talk, un intervento capace di stregare la platea al completo, Burden ha ripercorso la prolifica stagione di trasformazioni vissuta da protagonista. Dalla micro oasi fra i grattacieli di Paley Park ai waterfront verdi di Brooklyn e Lower Manhattan, fino al paesaggio sospeso della High Line, i tanti progetti promossi raccontano del benessere che solo il rapporto con la natura e con l’acqua possono portare a chi vive la città — qualcosa di normale oggi a New York, ma che pochi decenni fa sembrava impensabile.
Nel finale Markus ElKatsha ci ha condotto verso l’evoluzione della forma urbana, dalle città super-compatte delle origini allo sprawl fino alla smart city. La sua ricerca ridefinisce il concetto di città intelligente attraverso modelli di analisi e simulazione, misurandone la vivibilità sulla base di density, proximity, diversity.
Compresi i rapporti fra gli spazi e questi indici, è possibile simulare, con modellini fisici simili ai Lego, la qualità di vita di futuri insediamenti. Capire l’essenza della città per progettare spazi migliori per tutti: questo il senso profondo del data urbanism e del suo talk.
Sabato 15 ottobre
Il day 2 di Utopian Hours 2022 comincia con due incontri off al Mercato Centrale di Torino. Da un lato il terzo tavolo con amministratori e city expert italiani dal titolo The Officeless City, una riflessione sulla città come centro di produzione culturale, creativa e imprenditoriale. Sono stati momenti di confronto attivo e partecipato, in cui condividere esperienze di interesse, pareri qualificati, insight sul funzionamento delle diverse città e prospettive sul loro futuro.
In contemporanea, il primo workshop dell’edizione 2022 con cui siamo tornati sul fiume. Guidati da Arya Arabshahi e Dieter Leyssen del collettivo di architettura 51N4E venti giovani architetti, designer e progettisti hanno lavorato sull’asse fluviale della Dora.
Dal ritrovo sul Ponte del Carbone —per esplorare l’area e individuare le principali criticità— al Mercato Centrale, dove con il supporto del team di Stratosferica, alcuni membri di Plac e i due architetti di Bruxelles hanno immaginato possibili trasformazioni per quest’area della città.
Il sabato mattina anche un incontro per presentare Lo spazio è pubblico!, la mostra visitabile al Precollinear Park (su ponte Regina Margherita) che racconta alcuni progetti di autocostruzione da parte di giovani collettivi nel mondo. Insieme al curatore Emanuele Piccardo, critico dell’architettura e fondatore di Archphoto, abbiamo ascoltato le esperienze di Mattia Paco Rizzi di Grizz e Rita Elvira Adamo del gruppo La Rivoluzione delle Seppie.
Come ricordato da Emanuele Piccardo, la mostra è dedicata a Luisa Perlo, curatrice artistica del collettivo a.titolo impegnata nello spazio pubblico, scomparsa pochi mesi fa.
In Centrale l’antropologa urbana Katrina Johnston-Zimmerman ha portato il suo punto di vista originale sulla città e le sue evoluzioni storiche, uno sguardo acuto che spazia dalle scritte a pennarello sui muri alle teorie sulla vita quotidiana nei primi insediamenti umani. Come flâneuse, osserva e registra i piccoli atti di creatività, espressione personale e gentilezza in cui ci imbattiamo in città: un messaggio di incoraggiamento a una finestra, un lucchetto sul ponte, le tracce di gesso dei giochi dei bambini.
Come ricercatrice femminista, ci mostra come gli spazi attorno a noi siano pensati e costruiti principalmente da uomini — per una donna, a volte l’impressione in città è essere entrate nel bagno dei maschi, in un ambiente non nostro. Per la prima volta nella storia, però, questa generazione può capovolgere l’equilibrio e trasformare un personaggio secondario dello spazio pubblico nel nuovo protagonista della scena urbana.
Robert Stephens ha poi presenta “Bombay Imagined”, il suo atlante immaginario che raccoglie 200 progetti e secoli di idee per Mumbai: una linea ferroviaria sotterranea per il sistema fognario; una serie di canali per contenere le esondazioni alluvionali e creare una Venezia “orientale”; taxi aerei. L’obiettivo del lavoro è provare a rispondere a una domanda: come sarebbe potuta essere la città se i progetti visionari di architetti e ingegneri mai realizzati avessero preso forma?
Per Stephens, la logica non basta per fare una città a misura di cittadini. Servono coraggio, ironia, e tantissima immaginazione.
Anche questa edizione di Utopian Hours ha portato avanti il format dei Visiting Urban Explorer lanciato nel 2017.
Nella sua esplorazione torinese, la franco-americana Alizé Carrère si è lasciata ispirare dalla natura e dal rapporto che la specie umana instaura con essa. Da qui un’indicazione molto chiara per contrastare il problema delle isole di calore: ripartire dai balconi. La sua “balcony revolution” sfrutta il potenziale spesso sottovalutato di questi spazi. Con un po’ di immaginazione e costi contenuti, i balconi possono trasformarsi in oasi verdi, luoghi dove socializzare, strumenti di democratizzazione. Un invito ad alzare lo sguardo e aprirsi alla bellezza di una risposta semplice e efficace alla crisi climatica.
La giornata prosegue con un incontro a più voci per capire cosa sta facendo l’innovazione per aiutare le città nella lotta alle crisi ambientali e accelerare la transizione ecologica.
Sul palco OGR Tech, il più grande hub italiano dedicato all’innovazione: un incubatore basato a Torino impegnato a 360 gradi nello sviluppo tecnologico della nuova smart city e virtual city. Ad animare il dibattito anche Voltaage, la tech startup che sta rivoluzionando il mondo della mobilità elettrica commerciale, e XWorks, società londinese di waste management che sta digitalizzando il settore con una piattaforma dati per il riciclo.
Dall’innovazione tecnologica alla birra. A Bruxelles una produzione locale diventa parte dell’identità e dello sviluppo sociale della città, al pari dei suoi monumenti e palazzi. Sébastien Morvan, co-funder di Brussels Beer Project, ci ha raccontato come costruire un birrificio ha rigenerato un quartiere multiculturale con un’ampia comunità musulmana. È un luogo aperto e colorato, dall’architettura flessibile, che ha riattivato una parte di città negletta coinvolgendo i cittadini nelle scelte progettuali. Una spinta al dialogo e alla diversificazione, contro ogni forma di ghettizzazione.
Nel pomeriggio del sabato spazio anche alla seconda Visiting Urban Explorer del 2022. L’esplorazione di Khensani de Klerk è stata un micro viaggio dai margini al centro della città, scoprendo (e fotografando) tanti scorci inattesi poco conosciuti anche da noi che viviamo a Torino. È stata soprattutto un metodo: “walking, disrupting, blurring, glitching — margin to centre”. Così de Klerk definisce il suo approccio alla scoperta urbana, un metodo in cui la camminata diventa strumento per rispondere a una domanda cruciale: come possiamo aumentare il senso di sicurezza nelle nostre città?
Sicurezza, benessere, rigenerazione ma anche tanti approfondimenti sulle questioni legate al clima. Quando si parla di soluzioni al cambiamento climatico, Scott Francisco non ha dubbi: città e foreste devono dialogare, collaborare, supportarsi a vicenda. Proprio questa visione l’ha portato a fondare Cities4Forests, un’organizzazione globale che connette 85 città alle comunità delle foreste tropicali. Il programma promuove l’utilizzo di legno sostenibile certificato da parte delle città e aiutano le comunità che dipendono dalle foreste nel loro sviluppo economico e sociale.
La chiave per il futuro del pianeta è quindi un ritorno al passato, a una condizione in cui la natura non era sottomessa dall’uomo e città e foreste assicuravano benessere per tutti. Grazie alla solida collaborazione con Cities4Forests Stratosferica attiverà presto a Torino un nuovo progetto di placemaking che coinvolgerà tutta la cittadinanza.
Dalla città al cucchiaio. O meglio, a cosa mettiamo nel cucchiaio. Il talk di 51N4E ha dimostrato il potenziale e l’ampiezza di visione dell’architettura quando sceglie di confrontarsi con le grandi sfide di oggi, in città o a livello territoriale. Il giovane collettivo di Bruxelles, nome emergente del settore, racconta due progetti simbolo del loro impegno.
Su scala urbana, un loro edificio per rivitalizzare il centro direzionale nel nord della città, su scala regionale, il loro programma per abbattere l’impronta ecologica legata alla produzione alimentare in Lussemburgo: l’ambizione è grande. Il coraggio altrettanto.
Uno dei momenti più attesi del festival è stata la lezione di Edward Glaeser, un viaggio accelerato nella storia delle società urbane e i grandi eventi critici, in particolare le pandemie. Dalla peste ad Atene al Covid-19 in quaranta minuti, con la lucidità e l’ampiezza di pensiero che solo un economista guru può permettersi.
Di tutti i temi affrontati, ne rilanciamo uno: il legame fra città e lavoro a distanza. Il remote working, con chi può e chi non può, accentua le disparità tra persone nei servizi urbani e altre occupazioni, e apre lo scenario di una competizione maggiore per i “talenti globali”. Tanti i rischi per i centri urbani, ma la capacità di adattarsi della città non va sottovalutata. Mai.
Tenere il talento nella comunità dove è nato. Creare bellezza che ci fa sentire bene dove viviamo. Per Majora Carter,che ha chiuso la seconda giornata del festival, “nessuno dovrebbe lasciare il proprio quartiere, per vivere in uno migliore”. È questione di attivarsi e costruire lifestyle infrastructures nella propria comunità, trasformando discariche e waterfront inagibili in parchi, coffee shop, librerie, ristoranti. Così ha fatto nel South Bronx, a New York, dove Carter è nata e vive tuttora. Una lezione di attivismo accorato e senso di appartenenza.
Domenica 16 ottobre
Il secondo workshop dell’edizione 2022 è stato curato e gestito da Scott Francisco: una masterclass in cui il co-founder di Cities4Forests ha condiviso la sua esperienza nel programma Partner Forests, fornendo indicazioni utili e strategie per proporre dei cambiamenti efficaci all’interno di un contesto urbano.
La domenica di Utopian Hours 2022 in Centrale si è aperta con la presentazione della mostra A World of 8 Billion Cities che raccoglieva il lavoro di dieci graphic designer invitati da e AIAP (Associazione italiana design della comunicazione visiva) e dieci e artisti visivi italiani coinvolti da Stratosferica — artwork ispirati al tema di questa edizione.
Con Marco Tortoioli Ricci, presidente di AIAP, una chiacchierata molto stimolante per riflettere sul rapporto tra cultura visiva e città. Nel ripercorrere la storia di AIAP, la più antica associazione italiana per il design (fondata nel 1945), è stata ribadita l’importanza del ruolo sociale e politico di chi fa grafica e comunicazione visiva.
Design is always politic”, l’incontro si è chiuso con le parole sempre attuali di Norman Potter, autore del seminale saggio What is a designer.
Il terzo Visiting Urban Explorer è stato Jorn Wemmenhove di Humankind , e la prima notizia è che la vita a Torino gli è piaciuta molto — “I’ll never leave”, ci ha avvertito…
La sua esplorazione è stata in realtà un’indagine urbana alla ricerca della felicità e quindi di cosa può portare benessere nel nostro ambiente costruito. L’attenzione di Wemmenhove si sposta dalla dimensione fisica dei luoghi a quanto possiamo “conoscere, sentire e sognare” all’interno di una città. Alla salute mentale delle persone.Salendo in collina, passeggiando in centro, la connessione con la natura e la cura per gli spazi accessibili, con cui interagire attraverso i nostri differenti corpi, sono tra gli elementi su cui concentrarsi. E a Torino sembra purtroppo ci sia invece ancora troppa attenzione all’asfalto e ai parcheggi (la foto delle auto nella bella piazza dietro la Gran Madre dice tutto, in effetti). Il messaggio finale è stato comunque positivo. La città è e sempre sarà lo spazio della speranza. L’immaginazione è il nostro superpotere come umani, dobbiamo semplicemente usarne di più.
Subito dopo, con Italvolt, abbiamo gettato uno sguardo al prossimo futuro: tra una decina d’anni l’elettrico potrebbe davvero essere un aspetto determinante nel nostro quotidiano. Lars Carlstrom e Darya Deliyeva hanno presentato a Utopian Hours il progetto di Itavolt: una gigafactory alle porte di Torino dove entro il 2028 dovrebbe insediarsi una delle più grandi produzioni di batterie per auto d’Europa.
Il progetto prevede di sfruttare l’ex complesso industriale della Olivetti a Scarmagno: un investimento milionario e la consapevolezza che per una transizione del genere occorrono tanto tempo e una grande capacità di convincere il pubblico e gli investitori. La timeline parla chiaro: entro il 2024 dovrebbe partire la costruzione dello stabilimento per arrivare, prima del 2030, a essere al massimo della produttività. Dal canto nostro non abbiamo fatto previsioni e aspettiamo di capire come andrà a finire.
Come contrappunto allo speech di Italvolt quello della giovane attivista Nina Noblé, fra i più applauditi. Il suo racconto di Berlin Autofrei, campagna pro-mobilità attiva di cui è portavoce, ha trasmesso l’energia che porta con sé una proposta così radicale di ripensamento del traffico in strada, ma anche una buona dose di pragmatismo — non sempre presente in questi casi.
Oltre ai valori più alti dell’iniziativa, che vuole vietare qualsiasi spostamento in auto non-necessario, Noblé ha mostrato con quali azioni il movimento sia riuscito a mobilitare tante persone: dimostrazioni creative, dialogo, lobbying. L’obiettivo è un referendum locale nel 2024 per portare a un blocco nel 2028. Ci dovremo ritornare.
Attivazione culturale. Integrazione sociale. Cura del verde urbano. I parchi sono un mezzo per realizzare innumerevoli opportunità per la città e i cittadini. Al panel The Park as a Medium quattro esperienze si incontrano e raccontano a partire dalla High Line di New York. A ricordare il caso studio che ha ispirato le città di tutto il mondo c’è la High Line Network, l’organizzazione nata insieme al parco e che oggi raggruppa progetti di rigenerazione del verde pubblico negli Stati Uniti.
Da Milano arriva invece la storia di BAM, il parco pubblico che ha rivitalizzato la zona di Porta Nuova, tra i primi esempi di partnership pubblico-privata in Italia. 
C’è poi il caso di Agrocité, frutto dell’iniziativa attivista parigina AAA impegnata in strategie alternative per la trasformazione dal basso della città. Agrocité è un hub di agricoltura civica, pedagogia e ecocultura autocostruito e mantenuto in maniera sostenibile dalle comunità in città ai margini di Parigi, con un centro attivo anche nei pressi di Londra.
In chiusura, il nostro Precollinear Park e il suo impegno per la città di Torino. Una riflessione sulla forza di progetti urbani che mettono al centro cittadini e cittadine.
A seguire il panel dedicato alla città ospite: Milano! Un’occasione di confronto a più voci, con Pierfrancesco Maran, Assessore alla Casa e Piano Quartieri del Comune di Milano, Stefano Mirti, presidente della Fondazione Milano, Daniela Cattaneo Diaz, ceo e fondatrice di Base Milano, Accapiù e (h)Films, Marina Pugliese, direttrice del MUDEC e Alessio Baù di C40 Cities.
Da una parte, avere cinque protagonisti della vita urbana e culturale della città ci ha permesso di conoscere alcuni elementi chiave della stagione iniziata circa quindici anni fa, quando Milano ha iniziato a cambiare e a cambiare il suo racconto. L’apertura delle istituzioni, il rapporto pubblico-privato, il protagonismo del mondo creativo, insieme alle energie della società civile, sono stati gli ingredienti di questo “metodo Milano”.
Dall’altra parte, la conversazione ci ha portato fra le prospettive per il futuro della città — ora che alcune crepe, su tutte l’aumento del costo della vita e degli affitti, si sono allargate. In questa fase Milano si sta riscoprendo città dei quartieri, in cui le identità locali si fanno più forti e riconoscibili. La sfida è ancora una volta unire il grande sviluppo urbano con la cultura e la socialità.
A Utopian Hours non poteva mancare Rotterdam, la città del temporaneo permanente. Con Kristian Koreman (ZUS — Zones Urbaines Sensibles) abbiamo scoperto un’approccio al city making fondato su una fattibilità che tende al verosimile più che all’impossibile — e diventa metodo per riprogettare intere nazioni. Dal ponte pedonale Luchtsingel all’area residenziale Duin, i suoi progetti si adattano alle esigenze in costante trasformazione della società, del mercato e dell’ambiente, costruendo un design bello perché utile, funzionale al benessere sociale e non solo all’estetica. Anche a costo di formare un Ministerie van Maak, un Ministero del Fare.
A seguire, con Liam Young, uno dei momenti più coinvolgenti e spettacolari delle sei edizioni di Utopian Hours. Per trenta minuti ci siamo immersi nelle atmosfere rarefatte della sua “città planetaria”, una provocazione a cavallo fra utopia e distopia in cui l’architetto e regista di origine australiana ha immaginato una città abitata da 10 miliardi di persone. Tutto intorno la natura selvaggia che si riappropria di ciò che le è stato sottratto.
La visione di una città iperdensa capace di accogliere tutti gli esseri umani sulla terra è anche l’esito di una riflessione (la più attuale) su come stiamo gestendo le risorse a nostra disposizione. Il climate change, dice Young, non è un problema tecnologico ma una questione ideologica con profonde implicazioni culturali e soprattutto politiche.
A Utopian Hours 2022 spazio anche alla progettazione interplanetaria: Mars Tomorrow, Earth Today. Con i progetti del suo Mars City Design Vera Mulyani ci ha proiettati a tutti gli effetti oltre la stratosfera.
Da sette anni il suo laboratorio di marschitecture, fortunato neologismo di Mulyani, progetta abitazioni e strutture produttive in vista di un potenziale insediamente su Marte — un’ambizione che è il sogno personale della fondatrice del progetto da quando era bambina. Non si tratta soltanto di pura speculazione visionaria. Creare e sperimentare per Marte ha una funzione concreta nell’immaginare e realizzare tecnologie utili al presente e le sue sfide, a partire dal cambiamento climatico.
Il gran finale è stato affidato a Ximena Caminos, una delle più influenti cultural placemaker del mondo dell’arte contemporanea. L’arte pubblica come strumento di rigenerazione cittadina, per riconnettere la società con la natura e aumentare la nostra consapevolezza verso noi stessi e le sfide climatiche che dobbiamo affrontare.
La sesta edizione del festival si chiude con una riflessione, accorata e lucida, sulla forza dell’arte nel trasformare gli spazi urbani. Caminos ha portato come caso studio la sua Miami e due progetti iconici. The Underline, un parco lineare che rigenera 10 chilometri di ex linea ferroviaria in Downtown Miami, e The Reefline, il parco subacqueo di sculture che aiuterà a ricostruire la barriera corallina a 300 metri dalla spiaggia di Miami Beach. Un’ode alla naturale capacità di adattamento e alla creatività della specie umana.
Appuntamento al prossimo anno!